VAI AL VIDEO RIASSUNTIVO SU YOU TUBE
13 Marzo 2025
182 – 13 Marzo 2025 –
Miele: Gb 1,20-22; 2, 9-10
[1,20] Allora Giobbe si alzò e si stracciò il mantello; si rase il capo, cadde a terra, si prostrò
[21] e disse: «Nudo uscii dal grembo di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!».
[22] In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di ingiusto.
[2,9] Allora sua moglie disse: «Rimani ancora saldo nella tua integrità? Maledici Dio e muori!».
[10] Ma egli le rispose: «Tu parli come parlerebbe una stolta! Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male?». In tutto questo Giobbe non peccò con le sue labbra.
Giovedì abbiamo accolto le “sovrumane” parole di Giobbe. La Parola di Dio ci “forma” ad accogliere Dio, il nostro Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, in ogni modo, in ogni circostanza, in ogni gioia e dolore.. Sappiamo – abbiamo detto giovedì – che il libro di Giobbe è stato scritto intorno al 400 a.C. come meditazione sulla sofferenza del giusto, dopo che da una parte la “teologia dell’alleanza” era stata per secoli strutturata in maniera semplice: Il giusto è benedetto, l’ingiusto è punito, mentre dall’altra parte la sofferenza del popolo di Dio in occasione della sconvolgente esperienza della distruzione di Gerusalemme (586 a.C.) preparata dalla sofferenza personale di Geremia e dalla morte del pio re Giosia aveva cominciato a porre interrogativi non indifferenti alla fede del popolo dell’alleanza. Questi interrogativi sono giunti fino a noi, per esempio nel popolo di Auschwitz (“Dio dove sei?”).
Ora, se vogliamo essere corretti e coerenti nell’ascolto della Parola, lo Spirito ci guida, percorrendo il libro di Giobbe, su due strade interpretative e su due reazioni piuttosto diverse al problema del dolore del giusto, fino a pensare che il libro di Giobbe possa essere stato scritto da almeno due autori (uno i capitoli di inizio e fine 1-2;40-42 e l’altro il corpo del libro con i capitoli 3-39): un modo di reagire viene espresso nei capitoli che contengono le espressioni di “Miele dalla Parola” che abbiamo scelto per questo nostro appuntamento, e un altro modo viene invece espresso nelle parole infuocate e arrabbiate del Giobbe che è consapevole sia della sua giustizia, come persona, che del suo dolore assolutamente ingiusto, alla luce appunto della “teologia dell’alleanza”, del Dio che sa mettere ordine nelle cose degli uomini, proprio in base all’alleanza sinaitica, espressa ad esempio con vivacità e crudezza dei capitoli di “benedizioni e maledizioni” di Deuteronomio 28 e seguenti.
Ma veniamo al valore delle frasi che costituiscono il nostro cibo spirituale di questa volta. Indubbiamente abbiamo qui una formulazione stupenda di quel principio “il giusto vivrà per la sua fede” (Ab 2,4) che conosciamo molto bene.
Per il credente, in qualunque situazione, in qualunque luogo, in qualunque secolo, per il vero credente, chi conta, chi è importante è Dio. Un Dio creduto amante degli uomini (come dice il libro della Sapienza) e amante della vita. Un Dio che vuole solo il bene e il meglio per noi, come dice più volte Gesù nel Vangelo.
E’ a questo Dio, che Gesù ci ha consegnato perché lo chiamassimo “Abbà”, Padre, che noi credenti, proprio come Giobbe, siamo invitati ad affidare totalmente la nostra vita, e conseguentemente ad interpretare in maniera costruttiva e positiva ogni evento della nostra vita, quegli eventi che umanamente possiamo considerare buoni o cattivi, favorevoli o fonte di dolore e di disgrazia.
Giobbe non parla mai male di Dio. L’invito di sua moglie a “bestemmiare Dio e poi morire” er Giobbe è qualcosa di insensato perché è fondamentalmente non vero. Infatti qualunque, assoutamente qualunque cosa avvenga nella nostra vita, tutto va preso e interpretato nel modo meraviglioso di Paolo: “Siamo convinti che tutto coopera al bene per coloro che amano Dio e sono amati da Dio” (Rm 8,28-39).
E questo tanto più dopo la presenza, l’esempio, la sorte di Gesù di Nazareth, nostro Signore e Figlio amatissimo di Dio, che il Padre ha offerto alla morte perché la riempisse di vita e la facesse esplodere anche dentro di noi. In Gesù la morte è “implosa” perché Gesù ha riempito la morte di vita e ora tutto canta alla vita, anche “sorella morte” come cantò san Francesco.
L’invito è chiaro (e attenti! non si improvvisa!): vivere tutto come occasione di amore di Dio per noi e di noi per Dio, come i santi, come Teresa d’Avila, come Giovanni della Croce.
A tal punto che Agostino afferma che il male in realtà non “esiste”, se non come bene degradato chiamato ad essere rinnovato e recuperato. “Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?” (Rm 8,31) Dunque accogliamo tutto da Dio e Dio accoglierà noi in Cristo..