2020-09-26-Articolo-su-san-Girolamo-(in-vista-del-30-settembre)

Dai miei 16 anni ad oggi (ne ho 70) Agostino, al seguito di Gesù, di Paolo e in compagnia di tanti altri, è stato il mio compagno di viaggio. Specialmente quando ero più giovane le sue luminose ed entusiastiche aspirazioni alla vita eterna, ma anche all’amicizia, alla meditazione, al servizio hanno sempre riempito il mio cuore per cercare di percorrere qualcosa della stessa strada. In particolare, oltre al bello stile del nostro “retore cristiano”, mi hanno sempre attratto le sue folgoranti aperture teologiche, laddove ad ogni passo tutto spinge Agostino e noi a interrogarci su Dio e sull’uomo, ad affrontare problematiche piccole o grandi, a volte immense.. Non c’era problematica che non avesse il coraggio di affrontare e su cui non desse una risposta o una proposta di ricerca..

E così per i 1600 anni dalla sua “dormizione” mi sono accostato a Girolamo di Stridone, che conoscevo molto di meno e soprattutto come corrispondente e amico (prima arrabbiato e poi fedele) di Agostino. E ho trovato un mondo parallelo, molto simile e molto diverso da quello di Agostino.

In Girolamo non ho trovato i grandi commenti e le grandi ricerche sulla Trinità e sull’incarnazione, ma ho trovato luci, fossero stelle filanti che aprono bagliori nella notte o fulmini che si abbattono con forza; in Girolamo non ho trovato la calda pratica dell’omelia del pastore in mezzo al suo popolo, l’applauso, il consenso o il dissenso come in Agostino, ma ho trovato la parola detta alle persone, suggerita o gridata, consolazione o staffilata in pieno volto, in Girolamo non ho trovato l’uomo di governo, che ha occhi per tutto ciò che succede nell’Impero, che consiglia, dirige, propone ed esorta, come il vescovo di Ippona divenuto un oracolo, un punto di riferimento per la gente del suo tempo, no, in Girolamo ho trovato un appassionato partecipe alle vicende del suo tempo, spesso più dolorose che gioiose, pronto a dare il suo contributo per la fede della santa Chiesa Cattolica, da rimanendo nel suo angolo, nella sua biblioteca e nel suo pagliericcio, mangiando solo fave e dandosi spesso di cilicio sulla pelle smorta. In Girolamo non ho trovato i dibattiti pubblici con gli eretici e i libri e i concili contro di loro e la risoluzione planetaria di una serie di problemi che si trascinavano da tempo (Manichei, Donatisti, Ariani, Pelagiani).. no, in Girolamo ho trovato più il desiderio di farsi trovare lui a posto, nella ortodossia, disposto a trattare con gente considerata eretica più su richiesta e per coinvolgimento che per scelta e per una “architettura” della Chiesa che ormai con Teodosio era avviata ad essere la prima forza motivazionale del mondo, sia nella fede che nella vita civile..

Anche se Agostino credeva nell’amicizia e ha avuto lungo la vita espressioni bellissime di rapporto con delle persone singole e con comunità (pensiamo a Marcellino e Apringio), nulla di paragonabile alla vita relazionale di Girolamo lungo tutta la sua esistenza: con un ossimoro potremmo dire: tanto lontano proprio perché vicino e così vicino da essere lontano. Egli non era per nessuno ed era per tutti: per i suoi monaci, per le sue donne, per i pellegrini che gli chiedevano asilo, per i fratelli consacrati, per chiunque gli chiedesse qualcosa o gli mandasse una lettera.. Eppure raccolto nella sua cella, con i suoi libri, nel silenzio della ricerca e della meditazione, tanto utile al mondo quanto più lontano dal mondo!

Sì le “sue” donne. Agostino le ha sempre tenute alla larga dal suo episcopio, anche se scrisse ad alcune con affetto, ma soprattutto come padre e maestro nella fede. Girolamo è vissuto insieme con quelle che considerava “sue”, Paola, Marcella, Eustochio, Blesilla, ecc.. insieme ai “suoi” Pammachio, Eliodoro, Oceano.. A Roma e a Betlemme egli, pur sempre assolutamente isolato nella sua castità, ma era sempre vicino, accogliente, disponibile: insieme ascoltavano la Parola, insieme studiavano, insieme servivano i poveri. Addirittura più di una volta ha sfidato le malelingue per mantenere comunque il privilegio di questo rapporto, che lui pretese sempre esigente e puro, nell’amore dell’unico Gesù, Signore di tutti. C’è una sorprendente modernità in questa “par condicio” nella vita e nella casa di Girolamo, nel suo essere convinto che la donna santa è qualcosa di meraviglioso e di splendido, anche se la fatica di mantenersi santa e crescere nella santità è immane!

 

Sulle tracce di Girolamo…

 

Girolamo nacque nel 347 d.C. a Stridone, un piccolo borgo, che già durante la sua vita scomparve dalla carta geografica distrutto dai Goti. Dovrebbe essere stato a metà strada tra Trieste e Lubiana, nella parte alta dell’attuale Croazia, al limite dell’antica Pannonia. Un paese di cui lui non aveva alcuna stima, una buona famiglia e anche con qualche possibilità economica, tanto da potergli pagare gli studi. Croato, dunque, “dalmata”, quindi dal carattere forte e volitivo, generoso e “pericoloso”.. Aveva un fratello, Paoliniano, che lo seguirà come un’ombra per tutta la vita e una sorella che alla fine si consacrò vergine sposa di Cristo..

Nei suoi 16/17 anni Girolamo andò a Roma a studiare. Si era già fatto notare per l’ingegno vivo e la forza della personalità. Vi andò con Bonoso, l’amico d’infanzia. Certamente ricevette lezione dal famoso grammatico e retore Elio Donato, mentre è meno certo che abbia frequentato anche Mario Vittorino. Quattro anni circa tra avventure di gioventù, gran voglia di apprendere, visite ai monumenti, ed anche alle catacombe cristiane. E comunque alla fine diede il nome per il battesimo, che ricevette in san Pietro da papa Liberio nel 366. Si sentirà sempre “cattolico romano”.

Finiti i corsi, invece di tornare a casa, andò in Gallia, a Treviri, una delle sedi imperiali, addirittura con la voglia di servire l’Imperatore in armi. Ma anche lì vinse la sua naturale vocazione a leggere, a studiare, e si copiava opere per la biblioteca che andava formando e per la quale spendeva un patrimonio. Girò tutta la Gallia, ammirò Ilario di Poitiers (il “Confessore” lo chiama) e tutto fece fuorché il soldato, anche se si imbevve della cultura militare al punto da considerarsi per sempre un “soldato di Cristo”, totalmente votato al suo Imperatore!

Dopo Treviri, intorno al 370 tornò a casa, ma stava più volentieri ad Aquileia, il grande centro spirituale del nord-est dove il vescovo Valeriano lo accolse con affetto nel monastero di giovani con Bonoso, Rufino, Cromazio, Innocenzio.. Insomma già una vita impegnata. Ma i dissapori erano sempre dietro l’angolo e questa volta con la sua famiglia e i preti della zona. Dunque la voglia di fare il monaco ormai c’era ma Aquileia gli stava stretta.. Perché non tentare la storte laddove il monachesimo era nato, cioè in Oriente?

E così nel 374, a 27 anni, fa un viaggio avventuroso prima per mare e poi per terra, lungo la Grecia e l’Asia minore, insieme agli amici fidati, passando per il monastero di Rhossos in Cilicia e arrivò ad Antiochia di Siria accolto molto bene dal prete Evagrio, che poi sarebbe diventato vescovo della città. E lì si ammalò di brutto per un bel pezzo, curato da Evagrio e dagli amici. Intanto si rendeva conto della situazione di difficoltà che viveva anche quella chiesa a causa dello “scisma antiocheno”, perché c’erano tre vescovi a reclamare di essere l’unico legittimo: Melezio, Paolino e Vitale. C’erano anche questioni legate alle problematiche ariane e cristologiche, anche perché lì vicino insegnava Apollinare di Laodicea che nel 376 fece poi “coming out” della sua eresia.

Girolamo un po’ studiò, un po’ di stufò e volle ritirarsi nel deserto di Calcide a sud est di Antiochia, in mezzo al nulla, dentro una grotta. E ci stette per 2/3 anni fino al 379. Fu una palestra sofferta di vivere dell’essenziale e gli sembrava di essere un perfetto cristiano quando una notte – raccontò poi alla vergine Eustochio – ebbe la terribile visione in sogno, detta “sogno ciceroniano” dove un personaggio minaccioso lo accusava di essere più legato a Cicerone che a Cristo. E lì fece la sua scelta definitiva: Cristo al primo posto per sempre. Ma anche nel deserto cominciarono litigi e problemi con altri monaci residenti in quelle solitudini che volevano a tutti i costi fargli firmare continuamente delle professioni di fede, chi ariane e chi antiariane. E lui si arrabbiava, e gli altri lo guardavano con sempre più sospetto. E allora via di nuovo ad Antiochia, dal fidato Evagrio!

Qui lo “arpionò” il vescovo Paolino. Già la sua fama cominciava a diffondersi, come dottissimo uomo di cultura (aveva già scritto Il dibattito tra un cattolico e un luciferiano) e Paolino lo volle consacrare prete. Egli accettò ma ad una ben strana condizione, di essere libero di non celebrare, di non predicare, di non essere responsabile di comunità. Insomma un prete non-prete o meglio un prete da monaco, un prete che ormai sapeva che per lui l’essenziale era il suo Signore e la sua Parola e loro voleva servire, ogni giorno, ogni minuto.. L’aria della città era sempre più irrespirabile e Girolamo si appellò al papa (Damaso) perché mettesse le mani in quella faccenda dei vescovi e dello scisma.

Intanto Girolamo, sempre alla ricerca dei maestri più grandi del suo tempo, va dall’amico Vincenzo a Costantinopoli e si mette due anni (circa), fino alla fine del 381, alla scuola di Gregorio di Nazianzo, vescovo della città, chiamato dalla chiesa greca “Il teologo” per eccellenza che insieme all’amico Basilio e al fratello di lui, Gregorio di Nissa, formano la famosa triade dei “Padri cappadoci”, coloro che hanno consegnato alla Chiesa Cattolica dogmi, riflessioni e prassi di vita ancor oggi pienamente validi.. E Gregorio lo iniziò alla conoscenza del grande Origene di Alessandria, che diverrà, nel bene e nel male, il punto di riferimento centrale della sua attività culturale e teologica.

Intanto però papa Damaso aveva convocato a Roma un sinodo proprio per dirimere la questione antiochena e aveva invitato Paolino ed Epifanio di Salamina, con preghiera di portare con loro anche Girolamo. Il quale, giunto a Roma, fu ospitato in una casa del papa, che gli richiese di essere segretario del Sinodo e suo personale, e cominciò a caricarlo di lavoro, di studio e di traduzioni. E soprattutto il dinamico papa chiese a Girolamo di rivedere la traduzione latina della Scrittura sulla base del testo greco della LXX. E questo Girolamo lo fece per il Nuovo Testamento, subito. Intanto scriveva contro un certo Elvidio che criticava la verginità consacrata. Ma Roma portò a Girolamo qualcosa d’altro: fu avvicinato da una famosa nobile matrona, Marcella, che sul colle Aventino aveva la sua villa trasformata in una sorte di monastero per vergini e vedove e che raccoglieva attorno a sé uomini e donne con la voglia di conoscere la Scrittura e di pregare anche in lingua originale. Così Girolamo scoprì la sua seconda vocazione, collegata alla prima: dalla centralità della riflessione e dello studio della Parola, al suo annuncio, alla condivisione, ad essere fratello e guida spirituale di tante persone. Questo gli cambierà la vita, da allora in poi. Fra tutte la persona con cui più visse in sintonia fu la nobilissima Paola insieme a sua figlia Eustochio che lo seguiranno fino a Betlemme e renderanno possibile la sua attività di scrittore anche di uomo di carità tramite la messa a disposizione del loro immenso patrimonio di famiglia..

Ma Girolamo era “figlio di parlar chiaro” e quindi non sapeva risparmiare critiche, anche violente, a chi si professava cristiano e non lo era, preti, nobili, uomini e donne.. Soprattutto con la sua lettera 22 con la quale esortava Eustochio alla vita da vergine consacrata egli si inimicò una gran parte dell’alta società romana. E cominciarono a circolare calunnie, del tipo che Paola era ormai la sua amante, o che egli era eretico disprezzando il matrimonio, e via di questo passo.. Così appena Damaso morì (384), lui che qualcuno addirittura considerava “papabile” non trovò di meglio che partire anche da Roma.

La nave lo riportò ad Antiochia dove fu raggiunto da Paola ed Eustochio e insieme fecero prima un famoso pellegrinaggio in tutti i luoghi della Terra Santa e poi anche una capatina in Egitto, dove entrarono in contatto con i monaci di Nitria e con i cristiani di Alessandria, e in particolare con il vescovo Didimo (il Cieco, per lui “il vendente”) grande fan di Origene, del quale poi tradurrà l’opera sullo Spirito Santo.

Era il 386 quando Girolamo e le sue due compagne di viaggio finirono per stabilirsi vicino al presepe dove era nato Gesù, a Betlemme, per una scelta stupenda di umiltà e meditazione continua su ciò che veramente conta nella vita e nella vita di fede. Lì costruirono due monasteri, uno maschile e uno femminile, e anche una casa di accoglienza per poveri e pellegrini, una stupenda intuizione di fede, basata su questo principio: “non sia mai che ci sia qualcuno che si trovi nella condizione di Maria e Giuseppe quel giorno che arrivarono a Betlemme!”. E a Betlemme rimasero tutti e tre fino alla morte, Paola nel 404, Eustochio nel 418 e Girolamo nel 420. Le loro tombe sono vicinissime alla pietra che fece da culla al Salvatore. Egli stesso fece le iscrizioni che ci sono ancor oggi.

A Betlemme la vita scorse veloce tra la preghiera personale e quella comune, un po’ di lavoro manuale e tanta lettura e tanto studio e anche tanta comunicazione. Girolamo che nella prima parte della vita aveva girato il mondo conosciuto ora accoglieva nella sua umile cella il mondo che lo interpellava, lo osannava o lo derideva o lo calunniava.

Negli anni infatti varie vicende lo misero fortemente alla prova, prima fra tutte la complessa evoluzione del rapporto con Origene, soprattutto da quando l’amico di una vita, Rufino di Aquileia (che aveva il monastero di là della città, sul Monte degli Ulivi, legato all’altra signora del tempo, santa Melania la giovane) aveva scelto di rimanere legato ad una valutazione totalmente positiva di Origene (traducendo la sua opera principale, il “Perì Archòn”) tentando anche di tirarci dentro Girolamo. Questi reagì violentemente e i due si scrissero due Apologie a vicenda e finirono per rompere ogni amicizia. In questa vicenda c’entrarono poi Epifanio di Salamina, il monaco Atarbio, Teofilo di Alessandria, Giovanni II di Gerusalemme e anche i papi di turno (soprattutto Anastasio I).

Altra vicenda piuttosto faticosa fu quella legata al monaco Pelagio che venne in Palestina fuggendo dall’Occidente, inseguito da Orosio, mandato da Agostino, assolto da Giovanni di Gerusalemme che lo aveva in simpatia, e poi alla fine cacciato da un sinodo di Antiochia, dopo il decreto dell’imperatore Arcadio. La coda fu piuttosto velenosa perché bande di monaci fedeli a Pelagio fecero irruzione nei monasteri di Girolamo mettendo in pericolo anche la vita delle persone.

Un’altra vicenda di quegli anni fu l’invasione degli Unni (395-396) che insieme al terribile sacco di Roma del 410 crearono una situazione di emergenza profughi per Girolamo e le sue comunità, al punto da ritenere opportuno mandare il fratello a Stridone a vendere quello che restava dei possedimenti di famiglia per poter allargare la casa di accoglienza.

Anche nel rapporto con Agostino di Ippona ci fu un periodo di “maretta”, ma la saggezza e l’equilibrio soprattutto di Agostino portarono i due a maturare poi per anni uno stupendo rapporto di stima e di amicizia..

Ignoranza della Scrittura è ignoranza di Cristo

Per due volte, nel prologo al commentario a Matteo e in quello a Isaia, Girolamo scrisse questa che è senza dubbio la sua frase più famosa anche perché il Concilio Ecumenico Vaticano II l’ha fatta sua nella Dei Verbum 6,25. Girolamo fu tutte e due queste cose: innamorato di Cristo e innamorato della Parola (e anche della parola). Egli era nato, appena forse cominciò a leggere, come votato alla parola di ogni tipo e di ogni genere, tempo e latitudine. Egli si innamorò subito del bello e del “ben detto”. Cominciò a tentar di declamare parole già a scuola, davanti ai suoi compagni. E poi via via si lanciò nella lettura di tutto ciò che gli capitava in mano, giorno e notte, e spese anche una fortuna per farsi una fornitissima biblioteca (che portò sempre con sé). Imparava a memoria, tutto. E la sua memoria era di ferro, inossidabile. Poi arrivò la parola di Gesù, di quel Gesù cui si era già votato nella fede e nelle scelte di vita. Fu a prima vista una relazione freddina, come per il suo amico Agostino: dinanzi alla maestà dei testi ciceroniani, oraziani o virgiliani la parola biblica aveva un incedere più da popolino che da affamati dei vertici dell’eloquenza. Ma poi un giorno, anzi una notte, mentre “vessava” la sua povera vita tentando di essere perfetto nel deserto di Calcide ecco quello che egli raccontò alla vergine Eustochio (ep. 22,30) come il “sogno ciceroniano”. Raccontò di essere stato giudicato in sogno da un terribile personaggio che lo accusava di essere più ciceroniano che cristiano. E promise allora di essere cristiano per sempre e di mettere la parola di Dio al primo posto, per sempre.

E lo fece, passando notti e giorni, soprattutto nella sua cameretta del monastero maschile di Betlemme, a tradurre la Parola, a studiare la Parola, a scrivere sulla Parola, ma soprattutto a scrivere “la” Parola, nell’impresa titanica che mai un solo uomo aveva tentato, di tradurre in latino tutta la Bibbia, greca e soprattutto ebraica. E fu ben convinto che il suo “ozio” (alla latina!) sarebbe tornato utile alle Chiese di Cristo molto più di qualsiasi altro darsi da fare in altre direzioni (Pref. alla trad. di Giobbe).

Di Scrittura viveva, e guardava continuamente in faccia colui che solo ha il potere di prendere il libro e aprirne i sigilli (secondo la visione di Ap 5), e lo pregava e lo lodava dalla sua Parola, e questa parola cercava di farla tenere in mano e farla leggere a chiunque incontrasse e a chiunque scrivesse, e a tutti chiedeva di leggerla nella Chiesa, la comunità credente, Sposa del Cristo, che può nello Spirito aprire gli occhi ai ciechi. Sapeva di leggere come in filigrana oggi quella vita eterna con il suo Gesù che era la sua splendida attesa, senso del cammino presente.

 

Ora mentre scrivo tutto questo e mentre leggo Girolamo, e mentre io stesso da una vita mi nutro di Parola di Dio ogni giorno sento spesso la mia schiena essere percorsa da un brivido. Facciamo memoria dei 1600 dalla “dormizione” di Girolamo e quanti oggi, sì nel nostro oggi, possono dire di non ignorare Cristo perché non ignorano (almeno in parte) la sua Parola? Cosa è cambiato nella maggior parte di coloro che si dicono cristiani? Ancor oggi, ancor dopo il Concilio e la sua Devi Verbum, ben poco è cambiato a che il Cristianesimo sia interpretato e vissuto più come rito, come morale, come aspetto non certamente quotidiano dell’esistenza che come profezia, ascolto e coinvolgimento, donazione di sé all’unico vero Imperatore della nostra vita, Gesù Signore.. e servizio di lui nei poveri..

Certamente, come sempre, non dico che non ci sia nessuno che il Signore non arricchisca della grazia della fede e della carità, ma insieme con Girolamo non possiamo non auspicarci che tutti i credenti, in tutti i loro giorni possano conoscere, studiare, amare, imparare a memoria, pratica, e celebrare quella Parola che è il veicolo privilegiato per conoscere e incontrare Gesù il Signore Vivente..

A mio parere il Signore ha permesso il “lockdown” del coronavirus come un momento di grazia per i suoi credenti e le sue comunità. Non Messe a iosa ma quotidianità di ascolto, personale e familiare della Parola, rinnovazione di una adesione che ci distingue dal resto del mondo..

“Valutate ogni cosa e ritenete ciò che è buono” (1Ts 5,21)

Sappiamo quanto questa frase di Paolo sia presente negli scritti di Girolamo. Imbevuto di cultura pagana, formato cristianamente almeno per metà su testi di autori poi considerati eretici (Origene, Didimo, Apollinare di Laodicea), dopo la scelta del sogno ciceroniano, ma anche dopo la reiterata confessione di fede cattolica (la fede della Chiesa Cattolica e le sue formulazioni vengono assolutamente sempre al primo posto, su Trinità, Incarnazione, Escatologia, obbedienza ecclesiale, ecc..) Girolamo si trovò in una curiosa situazione: nonostante che non fossero “auctores” della verità (cioè riferimenti assoluti cui dare il proprio assenso di fede) tanti splendidi modi di dire degli autori pagani e dei scrittori cristiani erano lì, come inchiodati nella sua memoria, e fluivano attraverso la sua mano sulla sua tavoletta o dalla sua bocca verso l’orecchio dello stenografo senza fatica e anche con un piacere raffinato di uomo di cultura..

In molti gliene fecero una colpa, e, soprattutto quando scoppiò l’inimicizia tra lui e l’amico di una vita, Rufino di Aquileia, fu spesso incolpato di eresia o perlomeno di non chiarezza, giustapponendo spesso nei suoi scritti citazioni di varia provenienza.

La sua difesa fu sempre in questa parola dell’Apostolo e nella convinzione che tutto ciò che c’è di buono, ovunque esso sia e in chiunque sia appartenga allo Spirito di Dio che spande i suoi semi (gli spèrmata tou Lògou) in chi vuole, quando e dove vuole, anche ben al di là dei confini della Chiesa. E Paolo che ci Arato o Mosè che accetta anche che il dono dello spirito di profezia esista anche fuori dall’accampamento sono suoi compagni preziosi.

Non c’è che dire: dopo 1600 anni questa posizione di Girolamo, seppure difficile, seppure faticosa e soprattutto seppure troppo esposta alle critiche di chi capisce un po’ di meno, è comunque estremamente attuale e moderna. Oggi tutti la pensiamo così, nel nostro mondo così complesso e pluralista. Il nostro stesso Papa ha preferito andare incontro alle critiche degli “osservanti stretti” della fede pur di aprirsi nella preghiera ad uomini e donne di qualsiasi orientamento e regione sulla terra.

Se c’è una frase, che so, di Francesco Guccini o di Bob Dylan o di Vasco Rossi che è portatrice di una profonda verità, lì l’ape della nostra intelligenza profetica può andare a prelevare il nettare dello Spirito, anche se i poeti dichiaratamente cattolici non sono riusciti a scriverla (e magari ne hanno scritte altre). Perché, dice spesso Girolamo, è la verità che bisogna guardare, non gli uomini. Gli uomini vanno aiutati a comprendere e a correggersi e a camminare verso la verità comune..

Se tutti avessero accettato la visione di Girolamo nel 553 Giustiniano non avrebbe certamente ordinato di bruciare tutti i libri di Origene e il confronto nei secoli sarebbe stato molto ricco e vivace, invece di dover ragionare, come siamo costretti a fare oggi, su pochi frammenti rimasti o su traduzioni di cui non sappiamo bene l’attendibilità!

La Scrittura divina e tanti, tanti testi…

Fa restare allibiti quanti e quanti testi biblici, di estrazione varia e diversa da ogni punto della Bibbia, Girolamo tira fuori dal tesoro della sua memoria a sostegno delle cose che dice o scrive. Basta aprire una qualsiasi lettera. Ma, come abbiamo detto prima, colpisce anche quanta ricchezza di frasi (o anche solo di nomi di autori o racconti di fatti) egli associa al suo scritto provenienti dagli autori pagani. Certamente Cicerone, Orazio e Virgilio sono di gran lunga i più citati e preferiti, ma secondo l’indole un po’ caustica e un po’ giocherellona di Girolamo, non possiamo dimenticare i poeti satirici o i commediografi..

A volte ti accorgi che se quella citazione o quella frase non ci fossero il discorso filerebbe liscio lo stesso. Ma per lui evidentemente era un “tocco in più” verso quell’ideale di una prosa bella, scorrevole non noiosa che egli inseguì per tutta la vita. Quante volte, avendo dovuto dettare qualcosa a volo (che magari il latore aspettava fuori della porta della sua stanza) si scusa dello stile sicuramente scadente, non curato e rivisto, con cui ha scritto. Quante volte leggendo un testo di qualcuno dice che l’impressione di uno stile curato è già un punto a favore della ricchezza di contenuto e forse anche della verità dello scritto stesso.

Un bellissimo rapporto con le “sue” donne

Sì, per un minuto parliamo anche di sesso.. Diversamente da altri Padri Girolamo fu sempre molto schietto sia nelle sue parole che nei suoi comportamenti per quanto riguarda la pulsione sessuale e i rapporti fra i sessi. Leggendo le sue opere si deduce facilmente che Girolamo abbia subito da sempre il fascino femminile e si è trovato da una parte, per la sua scelta evangelica, a rinunciare ad ogni amore di donna, ma dall’altra, per il principio che i battezzati sono uno in Cristo, non più uomo o donna (Galati 3!!), ad avere ed accogliere tante donne nella sua vita come sorelle e compagne di cammino. Oserei dire che il rapporto che Girolamo ha avuto con le donne (almeno le “sue” donne!) era veramente speciale e forse superiore a quello avuto con i suoi amici uomini. Parlo di Marcella, Blesilla, Fabiola, ecc.. Ma parlo soprattutto di Paola ed Eustochio, le due donne, madre e figlia, che egli amò più di se stesso, ricambiato in un amore totale, tanto che esse, discendenti della più nobile famiglia romana, quella degli Anici e dei Giulii, lasciarono tutto e partirono con lui per condividere la loro vita a Betlemme fino alla morte. Così scrive Girolamo nel prologo al commentario al libro 12 di Isaia: “Qualcuno pensa che solo per il fatto che faccio questo prologo rivolto a te, o Eustochio, io sia degno di denigrazione e dileggio. Questa gente ovviamente non considera che la profetessa Culda (2Re 22,14) o Anna o Debora profetizzarono alla presenza di uomini che rimasero in silenzio: e nel servizio di Cristo non vale più alcuna differenza fra i sessi, ma solo quella fra le menti!”. Non si può dire che Girolamo non avesse a cuore le “quote rosa” anche nella lettura della Parola sui testi originali greci ed ebraici! E quando morirono (nel 404 Paola e nel 418 Eustochio) possiamo percepire l’attaccamento di Girolamo pensando alla sua frase “rimasi come istupidito per molto tempo”. Un rapporto tanto “pulito” (vivevano rigorosamente separati, mai da soli!) quando in un interscambio meraviglioso nel comune interesse che ha nome Gesù. Furono loro le principali muse dei suoi lavori biblici, loro che seguendo i suoi dettami sapevano il Salterio e altre parti della Bibbia a memoria, che studiavano con lui e come lui ogni giorno, e condivisero vicende belle e tristi, la prima per 20, la seconda per 40 anni.

Pochi li capirono, molti li criticarono, e qualcuno arrivò ad ipotizzare, nell’iniziale periodo romano, di denunciare Girolamo e Paola come amanti: “tu guarda di quale straccione è diventata amante la più nobile signora dell’Impero!” andavano dicendo fra le matrone dell’alta società romana..

Un mondo di carità e di attenzione

Non ho voluto, in questo mio piccolo testo, citare lunghi brani dalle opere di Girolamo. Li potete trovare nei libri a lui dedicati (anche quello che farò uscire a breve proprio per i 1600 anni dalla “dormizione” di Girolamo). Ma uno desidero inserirlo qui, perché per me è stata una rivelazione, e tra le più gradite. Sapevo solo di sfuggita che Girolamo e Paola avevano costruito, di fianco ai loro due monasteri (maschile e femminile) a Betlemme una casa di accoglienza (come si dice oggi) per poveri e pellegrini, perché, dicevano, non succeda più quello che era successo alla famiglia di Gesù che arrivando a Betlemme non avevano trovato posto da nessuna parte. E venne il momento in cui quella casa fu un punto luminoso di carità quando fiumi di gente si riversarono in fuga da Roma in ogni parte dell’impero. E fu forse l’unica volta che alla Parola scritta Girolamo preferì servire la Parola di Dio, il Verbo vivente e ancora povero, nei poveri in fuga. Per questi nostri tempi un grande esempio e richiamo:

“Non è mai lungo ciò che ha fine e tutta la serie dei tempi passati non serve più a niente: a meno che non abbiamo preparato il viatico (il sacco da viaggio con le provviste, n.d.r.) con dentro le buone opere, che guardano sempre al futuro, anzi all’eternità, e non sono ristrette dentro dei limiti e termini. Vero è il detto: Tutto ciò che è sorto, tramonta e tutto ciò che cresce invecchia. E altrove: non c’è qualcosa fatto dal lavoro e dalla mano dell’uomo che l’invecchiamento non aggredisca e consumi. Chi avrebbe potuto credere che Roma, costruita sulle vittorie in tutto il mondo, sarebbe divenuta insieme madre e tomba per i suoi popoli? Le spiagge di tutto l’Oriente, dell’Egitto e dell’Africa si sono riempite di un gran numero di servi e serve della città un tempo dominatrice del mondo. Ogni giorno la santa Betlemme è ridotta ad accogliere come mendicanti quelli che erano i nobili di tutti e due i sessi, che una volta arrivavano con tutte le loro ricchezze. E noi non riusciamo a fornire loro i pezzi per sopravvivere, e allora condividiamo il loro dolore e uniamo le nostre lacrime alle loro. Occupati come siamo sotto il peso di un santo servizio a questa gente, mentre non riusciamo a sopportarli che arrivano senza un gemito, abbiamo tralasciato Ezechiele e quasi ogni studio. Il nostro intenso desiderio infatti è quello che cambiare in opere le parole delle Scritture, e non tanto dire le cose sante, quanto metterle in pratica” (Commentario al libro del profeta Ezechiele, prologo al terzo libro).

 

Girolamo soldato di Cristo.

Sembra che Girolamo e Bonoso fossero andati a Treviri, quartier generale del reclutamento romano per provare a diventare soldati dell’Impero. Ma sicuramente se ne vennero via con il progetto di essere arruolati in un altro esercito, quello dell’Imperatore celeste, di Gesù Cristo. E dunque il cristiano, e soprattutto il monaco, è soldato dell’esercito celeste che combatte ogni giorno per portare il regno del suo Imperatore sia nel suo cuore come nel cuore e nella vita degli altri. Girolamo, come molti altri, visse la vita come una guerra senza quartiere, con se stesso, il suo corpo, le sue stesse esigenze, e poi con gli altri, la società, spesso lontana e fuorviata, gli errori di ogni genere inventati dagli uomini fuori e dentro la Chiesa. Una gran lotta con un gran numero di morti intorno. Eppure con una grande ricompensa come traguardo.

Possiamo dire che la vita di Girolamo, la sua spiritualità, fu essenzialmente cristocentrica: spesso parla di Gesù Cristo solo usando la parola “Gesù” senza altri appellativi, un modo abbastanza originale, che denota una spiccata relazione personale, come quando scrive della sua malattia “quando Gesù mi guarirà”..

E questo imperatore volle adottarlo nella sua umiltà, nella gloria che è la sua nuda croce e prima di tutto il suo nudo presepe. Per questo, con una straordinaria intuizione, pose la sua piccola cameretta di monaco a fianco della grotta della Natività, a Betlemme, per poter vivere ogni giorno la kenosi del suo Dio e insieme, nella meditazione della sua Parola, così umile in apparenza e così alta nei suoi misteri, camminare sempre di più verso la luce vera, il Logos di Dio che illumina ogni uomo..

Amare le persone, odiare i vizi. Girolamo “orso”

La famosa frase di Agostino “amare le persone e odiare e perseguire i vizi” la ritroviamo integralmente in Girolamo e anche più volte. Ma comunque si parla di lui sempre come un “orso”, al limite della maleducazione. Certamente definire Rufino “porco”, “idra a tre teste”, “aspide e serpente a sonagli”, ecc.. non hanno favorito una valutazione diversa di Girolamo.

E’ che a Girolamo davano fastidio due cose in particolare: la stupidità e la presunzione (che tra l’altro spesso si coniugano insieme). Allora diventava cattivo, egli uscivano di bocca delle cose che facendo il giro del mondo non potevano non nuocere alla sua fama. Insomma alla fine o lo accettavi per come era (magari conoscendo le sue immense possibilità e anche la sua immensa umanità, sotto la “scorza”) oppure ne parlavi male o addirittura lo odiavi. Per questo tutti i suoi scritti, soprattutto quello dopo il 400, sono comunque pieni di lamentele circa questi fantomatici e spesso non meglio identificati “nemici” che invece di mettersi seriamente a studiare la Parola e i problemi trovano sempre la strada più corta cerca di aggredire e sbranare lui a morsi..

 

Ma per quanto riguarda questo argomento, il rapporto che egli visse con Agostino è a mio parere assolutamente illuminante. La cosa era cominciata male, per colpa di nessuno, ma purtroppo le critiche di Agostino a Girolamo erano arrivate alle orecchie di quest’ultimo prima che le lettere del primo arrivassero nelle sue mani. E Girolamo reagì proprio come quando in montagna tocchi con la punta del bastone un vipera che incontri arrotolata a prendere il sole proprio in mezzo al passo. E diciamo pure che Girolamo insultò Agostino, non con brutti titoli ma dandogli certamente del giovanotto rampante e vescovo presuntuoso. Ma Girolamo quella volta fu fortunato. Dall’altra parte non ci fu un Rufino che era fatto a sua immagine e somiglianza, ma un uomo e un credente della statura di Agostino, che comunque i secoli ci invidiano. Egli seppe con garbo e carità spiegarsi, rimediare ai malintesi, e pur non cambiando una virgola della posizione rispettiva sulle problematiche in discussione cambiò per sempre il rapporto umano e cristiano fra i due e possiamo leggere, anche un po’ sorridendo, le lettere che Girolamo scrisse alla fine della vita all’indirizzo di Agostino, facendone delle lodi addirittura eccessive. Perché Girolamo il cuore buono ce lo aveva, e lo dimostrò tante volte, ma si arrabbiava e di questo ne soffriva anche lui.. “”Confesso il mio timore e spero che non sia superstizione. Quando sono arrabbiato e penso qualcosa di male nel mio animo e qualche fantasma notturno si è agitato davanti a me, quasi non ce la faccio ad entrare nelle basiliche dei martiri: tanto tremo sia nel corpo che nell’anima”. (Contro Vigilanzio, n. 12)

Un paio di cose che mi son dispiaciute..

Voglio essere onesto con Girolamo come lui lo era con se stesso. In questa avventura messa a nostra disposizione dai 1600 anni che intercorrono tra il prossimo 30 settembre e la sua “dormizione” ho imparato tanto da lui e lo posso associare agli amici del mio e del nostro cammino, insieme ad Agostino e a tanti altri cui sono affezionato (ognuno venera i “suoi” santi!). Ma ci sono alcune cose che non mi sono piaciute e mi dispiacciono nella vita di Girolamo, qualcosa che lo rendono ancor più uno come noi, con alti e bassi, luci ed ombre, ma qualcosa che se lo avesse vissuto meglio sarebbe stato più bello!

Mi riferisco anzitutto a Rufino, l’amico carissimo per tanti anni e poi il più spregevole dei nemici. Personalmente devo dire che Rufino anzitutto non lo capì, soprattutto nell’approccio “misto” e complesso verso Origene e gli altri autori eretici o pagani e lo aggredì dal 393 in poi. Ma se è vero che Girolamo diceva e sapeva distinguere tra ciò che una persona è e ciò che dice, sul livello personale avrebbe dovuto accogliere molto di più Rufino, esattamente come Agostino seppe accogliere lui e che arrivò a scrivere “come possono essere le cose umane se anche due amici come erano Girolamo e Rufino ora sono arrivati ad odiarsi!!”. E poi, quello che mi è andato ancor meno giù è stato quel prendersela di Girolamo ad ogni passo non con Rufino ma con lui morto e sepolto (“spappolato” dal peso dell’Etna, addirittura!!), a proposito del quale noi siamo abituati a dire “ormai riposi in pace”. Capisco l’astio dei discepoli, ma insomma la carità di quel Cristo che era tutto per Girolamo avrebbe dovuto suggerire altro.

Un’altra cosa che mi è andata ancor meno giù è che Girolamo ha sempre pensato con la sua testa e in certi momenti si forse chinato un po’ troppo davanti ai grandi e soprattutto ai vescovi. Ho avuto ad esempio la netta impressione che abbia cominciato a parlare di Origene in maniera offensiva (serpente, mostro, ecc..) dopo il cambiamento di Teofilo di Alessandria nei confronti dell’alessandrino.. Fedele alla fede cattolica, mi sta bene, ma troppo obbediente e allineato non mi appare un gran uomo di cultura..

La terza cosa che veramente mi ha dato fastidio e che dipende da quanto detto sopra è che Girolamo si è abbassato a tradurre l’infame libello di Teofilo di Alessandria contro Giovanni Crisostomo senza dire parola e senza batter ciglio, collaborando a suo modo alla macchinazione contro una delle persone più splendide della storia del Cristianesimo. Sì, lo so, nella lettera acclusa alla traduzione, Girolamo disse a Teofilo che l’aveva fatta “perché gliel’aveva comandata lui”, ma questo per un personaggio così affamato di chiarezza e di verità ad ogni costo come Girolamo mi sembra veramente nulla dinanzi alla corresponsabilità in un crimine che ancor oggi ci addolora!

Comunque così andò la storia di Girolamo, con i suoi meravigliosi “alti” e i suoi faticosi “bassi”, un uomo per certi aspetti insuperabilmente grande, come l’aspetto di erudito, di esperto delle Scritture e di ogni letteratura, amante appassionato di Cristo cui aveva donato tutto se stesso. Già da 1600 anni egli contempla fisso nel Verbo di Dio quelle profondità meravigliose che aveva intravisto in vita e di cui si sazia oggi. A noi la preghiera di imitarlo nelle sue cose più belle..

 

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