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Lectio del 7.11.24

167 – 7 Novembre 2024 –
Miele: Gb 19,23-27

 

Ci è capitato di vivere il nostro incontro di giovedì, dedicato a “cogliere” miele dalla roccia della Parola, all’interno del'”Ottavario di preghiere per i defunti”, in quel periodo particolare in cui la comunità credente, meditando e preparandosi ognuno alla propria morte, prega per ridare forza e speranza al progetto di vita di Dio Padre in Cristo per la potenza dello Spirito.

E allora, ecco, uno dei testi più straordinari della Parola, a proposito della speranza che deve abitare il nostro cuore, un testo tratto dal libro di Giobbe e che spesso viene proclamato alle liturgie dei funerali, accompagnando persone care a precederci nel Regno dei cieli.

Sappiamo bene che il libro di Giobbe, scritto verso il 400 a.C. è uno di quei libri che testimoniano lo sforzo di Israele di “ricomprendere” la propria fede dell’alleanza alla luce anche dei dolori e delle sventure del popolo, prima fra tutte la distruzione terribile di Gerusalemme che cambiò per sempre il corso della sua storia.

Giobbe è una persona benestante e felice, ma la prova di Dio, tramite il “satana”, si abbatte su di lui e ne fa un reietto, disperato, ammalato. Il libro è nella maggior parte il confronto dialogico tra Giobbe, che testimonia la sua innocenza di vita, e dunque il suo diritto, secondo la legge dell’alleanza di essere benedetto da Dio, e la sua ribellione al suo dolore per lui incomprensibile e ingiusto, e i suoi tre amici che parlando solo seguendo la lettera della legge che gli dicono che la sua sofferenza non può che testimoniare il suo stato di peccatore. Non che lo sanno, ma lo deducono.

In uno dei vertici del testo, Giobbe, gridando al suo Dio e rifiutando le argomentazioni degli uomini, propone una lettura di Dio e della vita che è uno dei vertici di tutta la Parola di Dio, ben in linea con la Parola di Gesù (“Dio è il Dio dei viventi e non dei morti” (Mt 22,32)):

 

[23] Oh, se le mie parole si scrivessero, se si fissassero in un libro,

[24] fossero impresse con stilo di ferro e con piombo, per sempre s’incidessero sulla roccia!

[25] Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!

[26] Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio.

[27] Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro..

 

Frasi meravigliose e profondissime che ben meritano di essere da noi ripetute e imparate a memoria perché abitino il nostro cuore che sempre deve anelare verso Dio. Ne abbiamo messo in evidenza alcune espressioni:

– “io so”: c’è una consapevolezza interiore e profonda, quella stessa di Ab 2,4 (il giusto vivrà per la sua fede). Nulla potrà scalfire questa “conoscenza” interiore di Giobbe che è luce di verità che abita la sua mente e il suo cuore

– “il mio Redentore”: nessun altro, è un rapporto diretto con colui che al di là di tutto e nonostante tutto Giobbe ha accolto come presenza di vita e di salvezza nella sua vita, il suo Dio. E questo Dio è colui che ci “ricompra” a caro prezzo per essere suoi

– “è vivo”: è la perla fondamentale. Dio è vivo, è il vivente, è la Vita stessa. E Gesù si definirà “Il vivente”, nella sua morte e risurrezione (Ap 1,18).

– “ultimo si ergerà sulla polvere”: espressione fortissima, la fede in un Dio che non conosce limiti e morte e che ha dato inizio ai secoli e li chiuderà. Sulla polvere che è l’uomo, tratto dalla polvere della terra (Gn 2,7), Dio si “ergerà” come eroe mitico e vincitore

– “senza la mia carne”: la certezza della sopravvivenza alla carne che si disfà. Perché tanti studiosi hanno detto e continuano a dire che nella Bibbia non c’è distinzione tra corpo e principio vitale (anima)? qui sembra che le cose siano annunciate diversamente!

– “lo vedrò”: Questo “vedere Dio”, considerato impossibile fino a Gesù (che ha rivelato “chi vede me vede il Padre” (Gv 12,45), per Giobbe è una speranza, una certezza: “vedere” come entrare in comunione perfetta ed eterna con lui, essere alla sua presenza..

– “io e non un altro”: c’è l’affermazione netta e precisa della sopravvivenza eterna dell'”io”, del mio centro personale. Io, io sono e sarò coinvolto nel rapporto con Dio (e noi aggiungiamo: per mezzo di Gesù nello Spirito Santo). Qui non c’è il “riassorbimento dell’io nell’indistinto” come annunciano le religioni orientali, tipo Buddismo o Induismo (se non mi sbaglio). La Chiesa eterna comprenderà comunque anche me e “io vivrò per lui”.