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22 maggio 2025

189 – 22 Maggio 2025  –
Miele: Eb 5,7-9 – Obbedienza e perfezione

 

Giovedì scorso, in coincidenza con la festa di santa Rita (“resa perfetta” dalla spina della croce sulla fronte per 25 anni) siamo anati a cercare nella Parola un miele dal gusto amaro per gli uomini, ma meraviglioso nella logica di Gesù di Nazareth e di Dio suo Padre, tre versetti alla lettera agli Ebrei che nel contesto della presentazione di Gesù come sacerdote unico e irrepetibile (“secondo l’ordine di Melchisedek”) ci parla del modo in cui Cristo è sacerdote obbediente al Padre e insieme causa di salvezza eterna per tutti noi, vero Mediatore tra cielo e terra, tra Dio e gli uomini, Dio egli stesso, Figlio di Dio.

 

[7] Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito.

[8] Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì

[9] e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.

 

Aveva chiesto nell’Orto degli Ulivi “Padre se possibile passi da me questo calice”, il calice amaro dato ai condannati a morte per stordirli, il calice della sofferenza e della prova (vedi Mc 14,36). Ma la ferma volontà del Padre, nel suo disegno d’amore per noi, era che egli passasse attraverso la terribile prova di sofferenza e morte (detta “il crogiuolo” dal nome dell’attrezzo che purifica l’oro dalle sue scorie attraverso il fuoco). E allora ci siamo chiesti: come mai il predicatore della lettera agli Ebrei dice che egli “fu esaudito per il suo pieno abbandono a lui”? Non morì forse? Forse che ne fu risparmiato? E abbiamo dedotto che l’unica lettura possibile sembra essere il suo essere esaudito considerando l’insieme della sua vicenda, che non fu solo passione e morte, ma soprattutto risurrezione. La fede incrollabile di Gesù nel suo Padre costituisce il motore di un unico potente evento, che ha diverse facce della stessa medaglia: è proprio morendo che fu vivificato nella risurrezione e la morte fu assorbita nella vittoria.

Certamente Gesù ha pianto durante la sua vita terrena, almeno in alcuni momenti particolari, raccontati dal Vangelo (su Gerusalemme, davanti alla tomba di Lazzaro..), ma soprattutto (e questi versetti possono riferirsi a quell’episodio) Gesù ha versato dalla sua fronte lacrime di sangue nell’Orto degli Ulivi, quando accolse sopra di se l’infinito peso dei peccati di tutti gli uomini, peccati da portare e distruggere offrendoci una “salvezza eterna”.

E dunque come non obbedire a lui obbediente fino alla morte e alla morte di croce? Obbedire, cioè seguire e imitare, stare con lui e offrire noi stessi con lui al Padre per noi, per i nostri cari, per il mondo intero.

Ecco dunque il valore redentivo del dolore e della prova: soffrire con amore, donando se stessi, è la via maestra del Cristo e di noi suoi discepoli (se vogliamo essere tali!) per divenire perfetti in un amore gratuito, in un dono senza confini, in un accogliere e “portare” la nostra vita e la vita dei nostri cari e la vita di tutto il mondo.