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28 luglio 2025

187. Lunedì 28 Luglio 2025
Bibbia e storia (7) –
Regole (6): La Tradizione del Cronista

 

 

Lunedì, dopo aver fatto conoscenza con la tradizione deuteronomistica, così nostalgica del Dio d’Israele e così terribile per i tradimenti del suo popolo, abbiamo preso in mano due libri, scaturiti dalla nuova tradizione di riflessione e di fede, di nuova costituzione del popolo di Dio, scaturita sicuramente dai sacerdoti del tempio di Gerusalemme, una tradizione che vuole decisamente guardare avanti.

Si tratta della tradizione che poi divenne parola scritta nei due libri delle Cronache (1 e 2 Cronache). La storia del popolo d’Israele viene ri-presentata e ri-letta il più possibile in positivo, come la storia che ha in Jahvè il suo Dio e la sua forza. Certo il più possibile perché anche questi sacerdoti conoscono la tradizione deuteronomistica e la storia da essa raccontata, storia di prevalenti infedeltà verso Jahvè e la sua alleanza, nonostante tanti ammonimenti e segni dati per mezzo dei profeti. Conoscono ma alla fine alludono più che fare racconti estesi come invece sono nei libri Gs, Gd, 1  e 2Sm 1 e 2 Re.

Quello che conta, per questa generazione rinata dalle ceneri di Gerusalemme distrutta è porre e vivere con forza i fondamenti che fanno di Israele, nei secoli e tra tutti i popoli, il popolo eletto, il popolo benedetto. Ora finalmente si riparte, dice il Cronista, e motiva la ripartenza raccontando la storia passata, a partire da Adamo, dall’inizio dell’umanità e sottolineando soprattutto chi è stato fedele all’alleanza.

E tra tutti questi libri rimettono al centro il re Davide. Di lui sono dimenticati o tralasciati i terribili peccati, e viene esaltata la sua fede e il suo attaccamento al suo Dio, che per il Cronista si era concretizzato in Davide come vero costruttore del Tempio del suo Dio. Non l’aveva fisicamente costruito, lo aveva fatto suo figlio Salomone, Dio non aveva voluto, ma egli concretamente aveva preparato tutto, organizzato cose e persone e luoghi e tempi. Veramente il tempio era stato il centro del desiderio del suo cuore, perché il suo Dio era il centro della sua anima e della sua vita, al di là di tutto e nonostante tutto.

Ora, pare dire il Cronista, al di là della discendenza regale vera e propria (ricordiamo che Dio aveva solo accettato dal popolo l’idea del re senza troppo esserne entusiasta, 1Sm 8!), il nuovo Israele è il nuovo Davide che ama il suo Dio, che serve il tempio, che vive nella purezza della razza ebraica (ricordiamo le mogli non ebree cacciate da Israele all’inizio della nuova era “giudaica”!), nell’osservanza assoluta della Legge nei capisaldi popolo (razza)-terra-benedizione di Dio (come per Abramo in Gn 12!).

Non servono più i regni terreni: grandi imperi si succederanno nei secoli a dominare Israele (greco, persiano, romano, ..), ma il nemico vero da combattere sarà solo chi vorrà eliminare dal cuore, dalla mente e dalle mani l’identità religiosa del popolo di Dio (come narrano i libri dei Maccabei, di cui parleremo).

Abbiamo fatto un esempio fra tanti: di Saul, il primo re d’Israele, si parla solo in 1Cr 9,35-10,14: pochi versetti e solo perché egli è un ammonimento per tutti gli Israeliti, soprattutto in 1Cr 10,14 terribile nella incisiva brevità: perché parlare di lui che è stato infedele? Il suo regno Dio lo ha trasferito a Davide!

E così sono trattati i pochi re empi che nell’arco di tempo da Salomone (960 a.C.) alla distruzione di Gerusalemme non hanno creduto in Jahvè e non hanno operato per la sua gloria.

Il nostro incontro si è concluso con una importante osservazione: i due libri non si chiudono nel dolore e nella disfatta come 2Re ma con il grande editto di Ciro il grande, re di Persia, che i profeti considerano uno strumento nella mano di Jahvè per dare inizio alla ricostruzione di Israele: sembra quasi che lui stesso voglia adorare il Dio d’Israele (2Cr 36,22-23).

p.s. una piccola nota aggiuntiva. L’immensa estesa della storia umana, che per il Cronista fa comunque parte del disegno e della misericordia di Dio, non viene raccontata per fatti ma attraverso i nomi, le genealogie, perché appartenere a un popolo vuol dire (per l’antico ma anche per tanti moderni) conoscere quanto di buono e di difficile c’è dietro ogni nome con la sua storia..