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Lectio 2.3.23

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Giovedì abbiamo voltato un’altra pagina del nostro cammino e abbiamo introdotto la cosiddetta “Lettera Agli Ebrei”. Si tratta di un libro molto particolare, cui fin dall’antichità sono state riconosciute due caratteristiche: 1) Originariamente non è una lettera ma un discorso, fatto secondo i canoni della retorica greca, ben strutturato e ricco di pathos. Poi questo testo è stato spedito alle comunità e si è parlato di “lettera”. 2) anche se è passato spesso tra gli scritti di Paolo, questo testo non è di Paolo. Non è ovviamente sicuro ma la tradizione e gli studi mettono avanti un nome: Apollo, il grande convertito, di Corinto e poi di Efeso, discepolo di Paolo e seguito dai coniugi Aquila e Priscilla (un testo molto interessante su questo è At 18,24-28. Leggiamolo).

Abbiamo ricordato il caratteristico particolare di Eb 13,22-25, la seconda “chiusa” della lettera. In realtà in quei pochi versetti è stata riconosciuta la mano di Paolo che accompagnò l’invio del testo, probabilmente da Efeso verso la Grecia e Roma con un biglietto. Infatti si dice che è una “breve” parola di esortazione ad accogliere il testo. Sicuramente poi i copisti della lettera hanno considerato preziosissimo il biglietto e lo hanno integrato direttamente alla fine del testo.

Scritto tra il 56 e il 65, questo testo vuole mettere la parola fine al dibattito con gli Ebrei sulla messianicità di Gesù Cristo. Utilizzando ampiamente l’Antico Testamento, e concentrandosi soprattutto sulla particolare e nuova posizione “sacerdotale” di Gesù, Apollo mostra in maniera ricca e convincente che egli è la continuazione e insieme la sostituzione degli intermediari antichi in se stesso, Figlio di Dio, e uomo che ha condiviso tutto di noi.