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Lectio dal 11.1.24

130 – Lectio su Eb 13,10-16

 

Lectio dal 11.1.24

 

Testo

 

10  ἔχομεν θυσιαστήριον ἐξ οὗ φαγεῖν οὐκ ἔχουσιν ἐξουσίαν οἱ τῇ σκηνῇ λατρεύοντες.

[10] Noi abbiamo un altare le cui offerte non possono essere mangiate da quelli che prestano servizio nel tempio.

11  ὧν γὰρ εἰσφέρεται ζῴων τὸ αἷμα περὶ ἁμαρτίας εἰς τὰ ἅγια διὰ τοῦ ἀρχιερέως, τούτων τὰ σώματα κατακαίεται ἔξω τῆς παρεμβολῆς.

[11] Infatti i corpi degli animali, il cui sangue viene portato nel santuario dal sommo sacerdote per l’espiazione, vengono bruciati fuori dell’accampamento.

12  Διὸ καὶ Ἰησοῦς, ἵνα ἁγιάσῃ διὰ τοῦ ἰδίου αἵματος τὸν λαόν, ἔξω τῆς πύλης ἔπαθεν.

[12] Perciò anche Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue, subì la passione fuori della porta della città.

13  τοίνυν ἐξερχώμεθα πρὸς αὐτὸν ἔξω τῆς παρεμβολῆς τὸν ὀνειδισμὸν αὐτοῦ φέροντες·

[13] Usciamo dunque verso di lui fuori dell’accampamento, portando il suo disonore:

14  οὐ γὰρ ἔχομεν ὧδε μένουσαν πόλιν ἀλλὰ τὴν μέλλουσαν ἐπιζητοῦμεν.

[14] non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura.

15  Δι᾽ αὐτοῦ [οὖν] ἀναφέρωμεν θυσίαν αἰνέσεως διὰ παντὸς τῷ θεῷ, τοῦτ᾽ ἔστιν καρπὸν χειλέων ὁμολογούντων τῷ ὀνόματι αὐτοῦ.

[15] Per mezzo di lui dunque offriamo a Dio continuamente un sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome.

16  τῆς δὲ εὐποιΐας καὶ κοινωνίας μὴ ἐπιλανθάνεσθε· τοιαύταις γὰρ θυσίαις εὐαρεστεῖται ὁ θεός.

[16] Non dimenticatevi della beneficenza e della comunione dei beni, perché di tali sacrifici il Signore si compiace.

 

Sintesi per comunicare (Sito)

 

Anche questo giovedì un altro brano del discorso esortatorio che termina la lettera agli Ebrei, cioè il capitolo 13. Sono i versetti dal 10 al 16. In essi abbiamo in breve una sorta di catechesi sulla dimensione sacrificale della nostra vita, sempre collegata al sacrificio del Cristo.

Apollo ci dice: noi cristiani non abbiamo più un altare fisico (come quello di Gerusalemme) su cui offrire le nostre offerte di comunione e mangiarne le carni. Ormai il nostro Signore ci ha collegato al tempio di Dio che è nel cielo, e il vero e unico sacrificio è stato quello, una volta per tutte, del suo corpo, che il Padre gli ha chiesto di prendere per divenire capace di condividere in tutto la nostra condizione umana e farne un sacrificio puro e perfetto sulla croce e nel cielo.

E la prova che si tratta di un sacrificio ben diverso è il fatto che, nuovo “capro espiatorio”, Gesù è stato sacrificato sull’altare della croce fuori della porta di Gerusalemme. Dunque anche noi suoi credenti e discepoli dobbiamo uscire dal sistema di cose, pagano o ebreo, e simbolicamente uscire dalla città portando il suo “portare il peccato del mondo”, come profetizza la figura del capro espiatorio mandato poi nel deserto, portando su di sé i peccati del popolo per l’imposizione delle mani del Sommo Sacerdote, come si dice in Lv 16. Figure tutte le vero e unico sacrificio redentivo, quello dh Gesù. Usciti verso dove? si chiede Apollo. Questa cosa l’ha già trattata nel capitolo 11: la fede è una sorta di uscita dal mondo degli uomini, dalla loro mentalità, dalle loro attese. La fede è mettersi in cammino. E dunque il seguire l’Agnello fuori della città, portando con lui il peso della redenzione del mondo, è di nuovo vivere di fede e camminare verso quella città nuova ed eterna che ha per costruttore Dio stesso e che “solo amore e luce ha per confine” (Dante).

Da tutto questo scaturisce l’ultimo versetto, nel cuore sempre attento di Apollo: non dimenticatevi della beneficenza e della comunione dei beni. Perché questi sono i veri sacrifici del Nuovo Testamento: un cuore credente che si apre all’altro, ad ogni altro e offre se stesso nel cuore e nelle opere di ogni giorno per creare e vivere quella comunione nello Spirito, nell’unico Corpo di Cristo, di cui la comunione dei beni della terra è segno e strumento..