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18 settembre 2023
52. Rm. Lettera ai Romani (4).
Angoscia per gli Ebrei (capp.9-11)
Nei capitoli 9-11 della sua lettera ai Romani Paolo tratta quello che possiamo chiamare l’altra faccia della medaglia: dinanzi all’esplodere dell’accoglienza di Gesù da parte dei pagani, ecco lo spettacolo terribile del popolo che era stato eletto per essere il popolo del Messia che ha rifiutato e rifiuta di credere e accettare il Signore come compimento della sua storia e come via definitiva alla salvezza del Regno. Paolo affronta questo problema che per lui è veramente una spina in un fianco per tutta la vita. Inseguito fisicamente dai giudaizzanti, più volte a rischio di morte per mano dei fratelli di razza, egli ha un dolore indicibile a constatare l’occhio di Israele divenuto cieco dentro e fuori. Sì ci sono molte primizie d’Israele confluite nella Chiesa, ma non c’è il popolo, tutto il popolo d’Israele con Gesù e la sua Chiesa. Insomma ancora una volta il popolo amato ed eletto da Dio, come spesso ha fatto lungo la storia, ha voltato le sue spalle all’unico che può salvarlo da morte.
Sempre attento al rispetto del mistero di Dio, della sua volontà e della sua azione, Paolo arriva addirittura ad ipotizzare che tutto questo non avvenga per caso, ma la Provvidenza del Padre sa volgere al bene di tutti il peccato di alcuni. Dio “ha rinchiuso tutti nella disobbedienza per essere misericordioso verso tutti” (11,32). E di qui poi parte l’inno finale di questa sezione (11,33-36) in cui si canta “O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio. Insondabili i suoi giudizi..”. Insomma quello che può apparire un dramma totale e irreversibile, l’indurimento definitivo del popolo d’Israele guardato dalla prospettiva insondabile del progetto di Dio può essere un momento di passaggio che permette a tutti i popoli di entrare mediante la fede in Gesù nell’eredità di Abramo, il credente.
Paolo soffre. Vorrebbe addirittura essere “dannato” lui al posto di questi suoi fratelli di sangue. E ricorre ad una affermazione fondamentale nella storia del suo popolo: Dio è fedele a se stesso. Dio non può non essere fedele alle sue promesse. Alle promesse fatte ai padri e ricordate di generazione in generazione. Quindi per quanto Israele sia cieco e sordo, per quanto passerà ancora del tempo lontano da Gesù, ma dovrà (un “dovere” fatto di fede e di speranza!) prima o poi essere convertito da Dio anche lui, come un giorno lo stesso Paolo sulla via di Damasco. Sarà il segno grande degli ultimi tempi, sospira Paolo, quando Israele entrerà “in massa” nel regno di Dio, occupando di nuovo quel posto speciale che gli compete fra tutte le nazioni.